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Viaggio in Egitto By Cristina Cancedda 19 settembre 2004. Ancora non ci credo, ha appena avuto inizio il viaggio tanto sognato, sin da piccola: il meraviglioso Egitto. Sono sull’aereo che ci porta al Cairo e ancora fantastico su come sarà, su cosa vedremo e chi incontreremo. Dicono che sia pericoloso; non ci faccio tanto caso, eppure ogni tanto spero in cuor mio che tutto vada bene. Sono agitata anche perchè leggendo la guida, qui in aereo, ci siamo rese conto che per l’ingresso nel paese, il passaporto deve essere valido almeno sei mesi dopo l’arrivo e il mio scade ai primi di gennaio. Ma qualcos’altro mi distoglie da questi pensieri. L’aereo comincia la fase di atterraggio e all’improvviso alla mia destra le vedo: le piramidi, lì in mezzo al deserto, a ridosso del centro abitato. La sensazione che provo è un misto di “l’ho già visto” (ovviamente in tv e in foto) e “allora esistono davvero!”. Sono solo pochi minuti, l’aereo vira e le perdo di vista. All’areoporto c’è una fila lunghissima per il controllo passaporti. L’acquisto del visto è un’operazione semplicissima. Ci sono almeno cinque sportelli di altrettante banche (non è possibile acquistare dollari egiziani in Europa); cediamo sterline in cambio di moneta locale e automaticamente consegnano assieme alla valuta locale, il visto adesivo da incollare al passaporto. Occorre aspettare di più per il controllo passaporti; il quale è caratterizzato da uno strano rituale burocratico che non fa altro che allungare i tempi. L’addetto al controllo (credo un poliziotto di frontiera, vista la divisa) deve sempre avere sul bancone due passaporti: uno messo da parte, che sarebbe quello appena controllato (il possessore attende in disparte), e un altro aperto per l’ispezione. Assieme al documento va presentato il modulo con i dati personali. Il poliziotto verifica l’identità del soggetto, pone le domande del caso, chiude il passaporto, lo mette da parte e solo allora consegna il passaporto precedentemente esaminato al relativo possessore, il quale è stato lì ad aspettare tutto quel tempo. Il possessore del passaporto appena esaminato e messo da parte, viene invitato ad avanzare di due passi e quindi ad attendere che la stessa procedura venga espletata con il soggetto successivo. Ma che cosa bizzarra, a cosa servirà mai? 22 settembre. Siamo al Cairo da qualche giorno. Cominciamo già ad orientarci in questa metropoli sconfinata di sedici milioni di abitanti. È piena estate e il caldo, appesantito dallo smog, rende faticose le attività del turista. Lo stimolo della fame, scompare del tutto e lascia una perenne sensazione di fiacca. Ma per andare avanti si dovrà pur mangiare e allora seguendo il suggerimento della nostra guida decidiamo di andare a cenare in un locale nei pressi del Museo Egizio. La caratteristica di questo posto è che servono solo una pietanza: il koshary, una zuppa densa a base di pasta e lenticchie. Il ristorante viene indicato come luogo di ritrovo per la gente del luogo ed è proprio per questo che ci andiamo. Il locale è su due piani, moderno, un po’ kitch, pieno di insegne luminose e luci varie. Immancabile la musica araba moderna nel sottofondo. Inutile aggiungere che siamo subito al centro dell’attenzione degli altri avventori. Sappiamo già che gli Egiziani sono molto amichevoli e amano attaccare bottone con i turisti. I camerieri qui hanno la vita facile: koshary, piccolo o grande? Acqua o coca-cola? Sul tavolo, senza tovaglia, si trovano già due ampolle di latta: una con salsa piccante al pomodoro e una con succo di limone, piccante anche questa. Anche le pietanze e le bevande vengono servite con stoviglie di latta. Il koshary è buonissimo e diventa delizioso con l’aggiunta delle salse. Sarà la nostra pietanza preferita, che poi impareremo a gustare anche per strada. Tanto per cambiare, pure il dolce qui è unico: budino di riso della casa, che viene invece servito in ciotole di carta. L’aspetto più sorprendente di questa esperienza? Spendiamo un euro a testa! E dopo questo pasto succulento? Via al fiume. L’intenzione è di raggiungere Mari Girgis, il quartiere copto del Cairo, in felucca. 29 settembre Siamo a Luxor da due giorni. Ieri abbiamo visitato la valle dei re, oggi siamo in calesse, direzione Karnak: il tempio. Percorriamo il lungofiume, un magnifico viale alberato dove troviamo riparo dal sole, che è cocente sin dalle prime ore del mattino. Il tempio colpisce a prima vista per la sua grandezza. In effetti, quando era attivo, era una sorta di città, attiva e produttiva L’ingresso è un maestoso viale fiancheggiato da statue che rappresentano degli arieti. La parte che più ci piace è l’immensa sala ipostila: 134 colonne enormi! Oltre alla grandiosità della struttura, ciò che ci emoziona è sapere che è lì da secoli e che un tempo il grandissimo Ramses II viveva tra le sue mura e decideva le sorti dell’impero egizio. Ci tratteniamo nel tempio sino a pomeriggio inoltrato: un’impresa eroica, vista la temperatura che si aggira sui 40°; ma vogliamo veramente assaporare l’atmosfera e vivere appieno questo momento unico. Ci scateniamo con le macchine fotografiche nel tentativo di portarci a casa il più possibile da Karnak. E a fine visita, esauste dal caldo, decidiamo di ripetere la visita la sera. Organizzano una visita-spettacolo con musica e giochi di luci e vogliamo tornare. 5 ottobre Siamo sull’aereo che ci riporta a casa dopo una vacanza meravigliosa. Lasciamo l’Egitto e gli egiziani a malincuore. Siamo riuscite a fare tanto: abbiamo girato il paese senza sosta, utilizzando i mezzi pubblici e mangiando nei chioschi ai lati delle strade. Abbiamo visto tanto, camminato tanto e sentito e letto altrettanto sulla storia dell’antico Egitto. Ma abbiamo imparato anche a barattare, ad attraversare le strade del Cairo (un’impresa!), a mangiare cibo egiziano senza poi star male, a girare nei souk, a prendere i mezzi, a gestirci con i dollari egiziani e a non farci imbrogliare. Non ce l’abbiamo fatta invece a raggiungere quella che, secondo i nostri piani, sarebbe dovuta essere la destinazione finale: Abu Simbel. Il caldo in questo mese sarebbe stato ancora eccessivo, inoltre, il troppo a disposizione era veramente troppo poco. Ma torneremo. Inshallah.
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